Layout del blog

Marigiovanna Silvano

Attivista dell’“ExOpg Occupato Je so’ pazzo” a Napoli per i diritti dei detenuti


Racconti Resistenti

Uscire mai

Aveva la testa un po’ intontita. La luce del sole gli abbagliava gli occhi, era fastidiosa. Un mix di odori gli si appiccicavano addosso. Un passo in avanti e una macchina d’improvviso gli era sfrecciata dinanzi. Non sapeva più attraversare e si era appena accorto che il lato opposto della strada era lontanissimo. Tutto d’un tratto gli spazi gli parevano immensi e lui così incredibilmente piccolo. Alle spalle si lasciava un mostro di cemento alto 10 metri. Erano passati dodici anni da quando era entrato in quel carcere e adesso finalmente si apprestava a tornare a vivere. Un ultimo gesto. Aveva preso lo spazzolino dalla tasca destra del borsone, l’aveva guardato intensamente e poi l’aveva spezzato a metà e l’aveva lasciato cadere. Una promessa: «Qui non ci tornerò più».

«Uè uè furbacchio’. Ma quann’ si turnat?»
«Eh, proprio adesso, zio. Mi fa piacere vederti».
«Mamma mi’ e comm t’ si fatt’ sicc’. Mo che t’ ver’ mammà fa e ‘llucc ‘e pazz».
Dopo questo scambio veloce di battute, imboccato l’ultimo vicolo del quartiere, finalmente era arrivato. Ma una volta a casa, dopo tre volte che aveva bussato al campanello, alla fine si era rassegnato. Si era seduto sui gradini di casa e si era acceso una sigaretta. Questa gliel’aveva data Filippo, il compagno di cella. Avrebbe dovuto essere l’unica, la “sigaretta di fine giornata”.

Dopo ben quaranta minuti finalmente lei era arrivata. Era bella come se la ricordava, forse di più adesso che aveva arrotondato il viso e fatto qualche rughetta. Aveva tagliato i capelli e li aveva tinti di rosso. Non la vedeva da ormai quattro anni. Si era alzato di scatto, aggiustato i capelli, la maglia, aveva buttato la sigaretta, la terza, per terra. 
«Che ci fai qua?»
«Te l’avevo detto che uscivo».
«Sì. E io non ti avevo detto che potevi tornare. Entra, muoviti».
«Andrò a cercare lavoro domani».
Era calato il silenzio.
Dopo dodici ore di sonno si era svegliato in un letto. Non dormiva così da una vita: nessuna luce accesa, nessun rumore di ferro battuto, una stanza tutta per sé. La giornata era iniziata. Primo step, la cucina: caffè, colazione, giornale. Secondo step, bagno: finalmente un gabinetto degno di essere chiamato così. Terzo step, il tabacchi di Oreste: sigarette. 

«Buongiorno. Mi chiamo X. Ho 32 anni. Non ho mai lavorato in questo campo, ma mi piacerebbe imparare. Apprendo facilmente. Non chiedo una paga tanto alta, purché mi permetta di mantenermi.»
Macelleria, bar, supermarket, pizzeria, negozio d’abbigliamento, falegnameria, impresa edile. E intanto le strade di giorno in giorno si facevano più strette, a misura d’uomo. Eppure, non era abbastanza. Aveva ripetuto quotidianamente la stessa frase per sei volte in sei posti diversi a dieci persone differenti. Lo aveva fatto per venti giorni. Ma chiunque, non appena aveva visto il suo “curriculum di vita” gli aveva risposto: «Le faremo sapere».
A due mesi d’attesa aveva finito le sigarette e non aveva più soldi per comprarle. A tre aveva finito la pazienza. A quattro la madre, dopo una notte in cui, in preda alla disperazione, aveva dato un pugno nel muro, credendo che si fosse drogato, l’aveva sbattuto fuori di casa. Così era tornato da Oreste, dopo cinque mesi che era fuori.

In tutti questi mesi, Oreste gli aveva proposto di ritornare nel giro. Ma lui non aveva ceduto. E neanche allora. Semplicemente quella mattina gli aveva chiesto un pacco di sigarette e gli aveva detto che gliele avrebbe pagate nei giorni a venire. Oreste gliele aveva date e gli aveva chiesto se fosse tutto a posto, che lo vedeva dimagrito. 
«Sì» gli aveva detto. Poi se n’era andato. 
Qualche giorno dopo, però, era stato Oreste ad andare a trovare lui. X si era rannicchiato a dormire sotto una galleria, tra i negozi e il Mc Donald’s, con un cappellino davanti. Quando lo aveva visto, Oreste gli aveva lanciato un euro nel cappellino e gli aveva ordinato di alzarsi. X era così stanco che non aveva sentito, così due scagnozzi lo avevano preso di peso. Oreste gli aveva tirato un bicchiere di acqua addosso e poi gli aveva sputato in faccia.
«A questo ti sei ridotto? Manco i cani. Così non fai neanche i soldi per ripagare le mie sigarette».
Dopo due giorni, X era di nuovo a capo del suo vecchio giro. Vestito di tutto punto, per strada dalla mattina alla sera, a lavorare per Oreste: lo zio Oreste. Dopo dodici anni, nulla era cambiato.
Eccetto le luci blu che ormai sapevano dove cercarlo e gli tenevano il fiato sul collo.

Era un martedì notte. Si muoveva agitato da una parte all’altra del letto, ansioso. La luna aveva bussato ancora. D’un tratto le urla, la porta per terra. Era entrato di forza in una macchina fredda, con delle manette. Quando la cella si era chiusa di nuovo alle sue spalle gli si erano rotti i timpani: era il suono di ogni porta chiusa che colpiva ripetutamente le sue tempie e tutta la testa, senza sosta. Lo avevano riportato lì. Tra quelle mura bianche e maleodoranti, a condividere il sonno con altri quattro uomini. E lì aveva tirato il suo ultimo sospiro.

55 SUICIDI NELLE CARCERI ITALIANE NEL 2020 titolava la diciottesima pagina del quotidiano del giorno dopo. 

Autore: La redazione 27 lug, 2023
Politiche per il cambiamento climatico significa città sostenibili. Quelle italiane sono pronte?
Autore: Andrea Maestri 08 mar, 2023
Lettera alla donne di Cutro
Autore: Irina Di Ruocco 07 mar, 2023
Tra Super-bonus e Super-opportunità
Autore: Giancarlo Marino 04 mar, 2023
La copertina è tratta da Palestina. Una nazione occupata opera di Joe Sacco fumettista e giornalista. 
Autore: Paolo De Martino 27 feb, 2023
La vera sfida inizia adesso
Autore: La redazione 25 feb, 2023
Il sostegno a una confederazione israelo-palestinese sta guadagnando terreno
Show More
Share by: