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Paolo De Martino

Cofounder Resistenza Civile

Yemen dimenticato: una vergogna internazionale

I combattimenti nello Yemen sono iniziati quando gli Houthi, si sono sollevati contro il governo yemenita nel 2014 e hanno innescato la guerra civile in corso sulla punta meridionale della penisola del Golfo. Nel tempo lo Yemen è diventato lo scenario di guerra tra Iran e Arabia Saudita, alimentando forti tensioni in tutto il Medio Oriente, tra sciiti e sunniti.

Gli Houthi rappresentano un movimento politico, un gruppo armato e la minoranza sciita dello Yemen, con oltre un terzo della popolazione. L'Iran conferma di sostenere politicamente gli Houthi, ma nega di inviare armi al gruppo. L'Iran, che considera gli Houthi parte di un "asse di resistenza" contro Israele e gli Stati Uniti, domina gli Hezbollah libanesi, le milizie in Iraq e le forze armate siriane del presidente Bashar al-Assad.

L'Arabia Saudita, paese tradizionalmente egemone in Yemen, aveva sostenuto il regime di Saleh a lungo durante i 33 anni della sua presidenza yemenita dal 1978 al 2012. Il raìs era stato poi deposto all'indomani delle rivolta popolare nel contesto delle proteste arabe nel 2011. Poi, ucciso nel 2017.

 

Il conflitto si è intensificato drammaticamente nel marzo 2015, quando l'Arabia Saudita e altri otto stati - per lo più arabi sunniti - sostenuti dalla comunità internazionale - hanno lanciato attacchi aerei contro gli Houthi, con l'obiettivo dichiarato di ripristinare il Governo Haidi. Questi attacchi non hanno risparmiato ospedali, scuole, mercati e civili. Il segretario generale dell’Onu António Guterres ha definito “come la più grave emergenza umanitaria in corso”, il conflitto yemenita è la somma di numeri inimmaginabili: 24,3 milioni di persone oggi hanno bisogno di aiuto, almeno 4 milioni sono sfollati e 2,3 milioni di bambini rischia di perdere la vita per fame, dati diffusi da INTERSOS, organizzazione umanitaria che opera nello Yemen dal 2008.

Invece, sono 2.000 i bambini morti combattendo reclutati dagli Houthi yemeniti.

Un rapporto delle Nazioni Unite ha rilevato che i bambini di età compresa tra i 10 e i 17 anni vengono attirati nella lotta contro il governo yemenita riconosciuto a livello internazionale.

 

Ad oggi, le forze governative yemenite supportate dall’Arabia Saudita, il gruppo sciita degli Houthi, appoggiato dall’Iran, e il Consiglio di Transizione del Sud, supportato dagli Emirati – si suddividono l’egemonia territoriale. 

Le truppe fedeli agli Emirati Arabi Uniti hanno evitato a lungo uno scontro diretto con gli Houthi, ma all'inizio di gennaio di quest’anno, le cose sono cambiate dopo che i combattenti sostenuti dagli Emirati dello Yemen meridionale hanno spinto i ribelli Houthi fuori dall'area ricca di petrolio intorno alla città di Shabwah.

In Yemen sono cambiati spesso gli scenari ma non sono mai diminuiti i combattimenti che hanno messo in ginocchio un paese già classificato tra i più poveri del pianeta. Si stima che per il 2022 saranno 20,7 milioni le persone (66% della popolazione) ad avere bisogno di assistenza umanitaria. Metà dei presidi sanitari del paese sono stati chiusi e negli altri mancano le medicine e il personale non riceve salari. Nonostante sia una delle guerre più brutali al mondo con una conseguente crisi umanitaria più grave al mondo, è esclusa dal dibattito internazionale.

 

Per riportare alla luce questo drammatico conflitto l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha deciso di inviare un’osservatrice di richiamo internazionale, Angelina Jolie. L'attrice, arrivata qualche giorno fa nel Paese arabo come inviata speciale ha equiparato la situazione del popolo yemenita, depauperato da sette anni di conflitto civile, a quella degli ucraini costretti a fuggire da un'«orribile guerra». Ricordando che «tutti meritano la stessa compassione». A parte piccoli gesti e qualche dichiarazione sporadica dei leader occidentali, la comunità internazionale non ha fatto nulla per negoziare un immediato cessate il fuoco e neanche per imporre alle parti in conflitto il rispetto del diritto internazionale umanitario, che prevede che non vengano colpiti i civili e le infrastrutture essenziali come scuole, ospedali e centrali idriche.

 

“La migliore soluzione per la pace sarebbe quella di formare un'ampia coalizione di governo provvisoria e procedere verso elezioni multipartitiche libere ed eque", ha dichiarato Stephan Zunes, professore di politica e studi internazionali all'Università di San Francisco, in un’intervista ad Al Jazeera.

“Nel 2011 c'era un impressionante grado di unità tra i vari gruppi tribali, regionali, settari e ideologici che hanno preso parte alle proteste pro-democrazia contro il regime di Saleh, che includevano marce di massa, sit-in e molti altri forme di resistenza civile nonviolenta” ha aggiunto Zunes durante l’intervista.

 

I recenti scenari di guerra ci raccontano da una parte, che l’autodeterminazione dei popoli sancita dalla carta delle Nazioni Unite sia un principio disatteso, e dall’altra parte che il concetto dello stato sovrano, dello stato che entro i suoi confini territoriali, può fare ciò che vuole senza prestare attenzione al di fuori dei suoi limiti, è oggi anacronistico. Essere “sovrani” in un mondo interconnesso rischia di coltivare l’“immondo idolo” crea conflitti, egoismi e ipocrisie. Una questione quella del “Mito sovrano” che Einaudi poneva già agli inizi del novecento e poi ampliata come si legge in una lettera inviata al direttore del Corriere della Sera. Invece, pare che si sia ritornati all’idea, forse mai lasciata, di far valere la supremazia come regola del più forte per la risoluzione dei conflitti.

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